A pron. pers.  di terza pers. m. e f. sing. e pl. 1 Indica, con valore rifl., le persone cui si riferisce il sogg. stesso e si usa al posto di ‘lui’, ‘lei’, ‘loro’ nei vari compl. quando non vi sia reciprocità d'azione: parlare di sé; pensano solo a sé; lo hanno allontanato da sé; rafforz. da ‘stesso’ e ‘medesimo’: si preoccupano solo di sé stessi; lo fa per sé medesimo | Essere pieno di sé, essere vanitoso, borioso | Essere chiuso in sé, essere introverso | Tenere qlco. per sé, non riferirla a nessuno | Dentro di sé, fra sé e sé, nel proprio intimo | Essere, non essere in sé, essere, non essere nel pieno possesso delle facoltà mentali | Essere fuori di sé, perdere il senno | Rientrare in sé, riprendere i sensi; (est.) rientrare in possesso delle proprie facoltà mentali | Da sé, senza l'aiuto o l'intervento d'altri: farsi giustizia da sé | Va da sé, è ovvio, è naturale: va da sé che dovete arrangiarvi. 2 Si usa come compl. ogg. in luogo del pron. atono ‘si’, quando gli si vuole dare particolare rilievo: cerca di scusare sé e incolpa gli altri | Se seguito da stesso, anche senza accento: se la prende con sé stesso. B  in funzione di s. m. La propria coscienza: nel suo sé pensa di riuscire. (V. nota d'uso ACCENTO)

Enciclopedia di italiano. 2013.

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